Maternità surrogata: il Governo Italiano ottiene il rinvio del caso Paradiso e Campanelli alla Grande Camera
Con decisione del 01.06.2015, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha disposto – ex art. 43 CEDU – il deferimento alla Grande Camera del caso Paradiso e Campanelli c. Italia (n. 25358/12); un collegio di 5 giudici, difatti, ha accolto la richiesta di rinvio presentata dal Governo Italiano, ritenendo che la sentenza emessa dalla Camera il 27.01.2015 sollevasse gravi problemi di interpretazione o di applicazione della Convenzione, ovvero, un’importante questione di carattere generale.
La questione deferita alla più autorevole composizione della Corte riguarda, com’è noto, un caso di maternità surrogata: i ricorrenti, marito e moglie, dopo numerosi ed infruttuosi tentativi di concepimento con la tecnica della fertilizzazione in vitro, decisero di ricorrere alla gestazione surrogata avvalendosi dei servizi della società Rosjurconsulting, in Russia.
Le autorità italiane, tuttavia, rifiutarono il riconoscimento del legame familiare tra i ricorrenti ed il bambino, affidando quest’ultimo ad una casa famiglia e dichiarando ideologicamente falso il relativo certificato la nascita.
La Camera, dunque, con sentenza del 27.01.2015, richiamando la nozione autonoma di “vita familiare”, ha dichiarato la violazione dell’art. 8 CEDU – senza, tuttavia, ordinare allo Stato Italiano la collocazione del minore presso la famiglia dei ricorrenti – sulla base delle seguenti motivazioni:
§ 74. La Corte rammenta che, per un genitore e suo figlio, stare insieme rappresenta un elemento fondamentale della vita famigliare (Kutzner, sopra citata, § 58) e che delle misure interne che glielo impediscano costituiscono una ingerenza nel diritto tutelato dall’articolo 8 della Convenzione (K. e T. c. Finlandia [GC], n. 25702/94, § 151, CEDU 2001-VII). Tale ingerenza viola l’articolo 8 a meno che, essendo «prevista dalla legge», non persegua uno o più scopi legittimi rispetto al secondo paragrafo di tale disposizione e sia «necessaria in una società democratica» per raggiungerli. La nozione di «necessità» implica un’ingerenza che si basi su un bisogno sociale imperioso e che sia in particolare proporzionata al legittimo scopo perseguito (Couillard Maugery c. Francia, n. 64796/01, § 237, 1° luglio 2004).
§ 75. Se l’articolo 8 tende essenzialmente a premunire l’individuo contro ingerenze arbitrarie dei pubblici poteri, esso pone inoltre a carico dello Stato degli obblighi positivi inerenti al «rispetto» effettivo della vita famigliare. In tal modo, laddove è accertata l’esistenza di un legame famigliare, lo Stato deve in linea di principio agire in modo tale da permettere a tale legame di svilupparsi, e adottare le misure idonee a ricongiungere il genitore e il figlio interessati (si vedano, ad esempio, Eriksson c. Svezia, 22 giugno 1989, § 71, serie A n. 156; Olsson c. Svezia (n. 2), 27 novembre 1992, § 90, serie A n. 250; Ignaccolo-Zenide c. Romania, n. 31679/96, § 94, CEDU 2000-I; Gnahoré c. Francia, n. 40031/98, § 51, CEDU 2000-IX e, recentemente, Neulinger e Shuruk c. Svizzera [GC], n. 41615/07, § 140, CEDU 2010). Il confine tra gli obblighi positivi e negativi derivanti per lo Stato dall’articolo 8 non si presta a una definizione precisa; i principi applicabili sono comunque comparabili. In particolare, in entrambi i casi, si deve avere riguardo al giusto equilibrio da garantire tra i vari interessi coesistenti – quello del minore, quelli dei due genitori e quelli dell’ordine pubblico – (Maumousseau e Washington c. Francia, n. 93388/05, § 62, CEDU 2007 XIII), tenendo conto tuttavia del fatto che l’interesse superiore del minore deve costituire la considerazione determinante (in questo senso Gnahoré, sopra citata, § 59, CEDU 2000-IX), che, a seconda della propria natura e gravità, può avere la meglio su quello dei genitori (Sahin c. Germania [GC], n. 30943/96, § 66, CEDU 2003-VIII). L’interesse di questi ultimi, in particolare a beneficiare di un contatto regolare con il minore, rimane comunque uno dei fattori di cui tenere conto nel bilanciare i diversi interessi in gioco (Haase c. Germania, n. 11057/02, § 89, CEDU 2004-III (estratti), o Kutzner c. Germania, sopra citata, § 58). In entrambe le ipotesi lo Stato gode di un certo margine di apprezzamento (si vedano, ad esempio, W., B. e R. c. Regno Unito, 8 luglio 1987, serie A n. 121, §§ 60 e 61, e Gnahoré, sopra citata, § 52). La Corte non ha il compito di sostituirsi alle autorità interne per regolamentare la presa in carico di minori da parte della pubblica amministrazione e i diritti dei genitori di tali minori, ma di esaminare sotto il profilo della Convenzione le decisioni rese da tali autorità nell’esercizio del loro potere discrezionale (Hokkanen c. Finlandia, 23 settembre 1994, § 55, serie A n. 299 A).
§ 76. La Corte rammenta che, se l’articolo 8 non contiene alcuna indicazione procedurale esplicita, il processo decisionale all’esito del quale vengono applicate misure di ingerenza deve essere equo e rispettare adeguatamente gli interessi tutelati da tale disposizione. Pertanto, è necessario determinare, in funzione delle circostanze di ciascun caso e in particolare della gravità delle misure da adottare, se i genitori abbiano potuto svolgere nel processo decisionale, considerato nel complesso, un ruolo abbastanza importante per accordare loro la tutela dei loro interessi richiesta. In caso negativo, si contravviene al rispetto della loro vita famigliare e l’ingerenza che risulta dalla decisione non può essere considerata «necessaria» nel senso dell’articolo 8 (W. c. Regno Unito, 8 luglio 1987, § 64, serie A n. 121).
§ 77. Per valutare la «necessità» della misura controversa «in una società democratica», la Corte esaminerà se, tenuto conto della causa nel suo complesso, i motivi invocati a sostegno della stessa siano pertinenti e sufficienti ai fini del paragrafo 2 dell’articolo 8 della Convenzione. A tal fine, terrà conto del fatto che la divisione di una famiglia costituisce una ingerenza molto grave; una misura di questo tipo deve dunque basarsi su considerazioni ispirate dall’interesse del minore e aventi sufficiente peso e solidità (Scozzari e Giunta c. Italia [GC], nn. 39221/98 e 41963/98, § 148, CEDU 2000-VIII).
§ 78. Se le autorità godono di un ampio margine di manovra per valutare in particolare la necessità di prendere in carico un minore, esse devono invece esercitare un controllo più rigoroso sulle restrizioni supplementari, come quelle apportate dalle autorità al diritto di visita dei genitori, e sulle garanzie destinate ad assicurare la protezione effettiva del diritto dei genitori e dei figli al rispetto della loro vita famigliare. Tali restrizioni supplementari comportano il rischio di troncare le relazioni famigliari tra i genitori e un giovane figlio (Gnahoré sopra citata, § 54, e Sahin c. Germania [GC], n. 30943/96, § 65, CEDU 2003-VIII).
§ 79. Da un lato, è certo che garantire ai minori uno sviluppo in un ambiente sano rientra in tale interesse e che l’articolo 8 non può in alcun modo autorizzare un genitore a veder adottare misure pregiudizievoli per la salute e lo sviluppo dei suoi figli (Sahin sopra citata, § 66). Dall’altro, è evidente che rientra ugualmente nell’interesse del minore che i legami tra lo stesso e la sua famiglia siano mantenuti, salvo nei casi in cui quest’ultima si sia dimostrata particolarmente indegna: rompere tale legame significa tagliare al figlio le sue radici. Ne risulta che l’interesse del minore impone che solo circostanze eccezionali possano portare a una rottura del legame famigliare, e che sia fatto il possibile per mantenere le relazioni personali e, se del caso, al momento opportuno, «ricostruire» la famiglia (Gnahoré sopra citata, § 59).
§ 80. La Corte rammenta peraltro che, nelle cause che riguardano la vita famigliare, il trascorrere del tempo può avere conseguenze irrimediabili sui rapporti tra il figlio e il genitore che non vive con lui. In effetti, l’interruzione del contatto con un figlio molto giovane può portare ad una crescente alterazione della sua relazione con il genitore (Ignaccolo-Zenide c. Romania, sopra citata, § 102; Maire c. Portogallo, n. 48206/99, § 74, CEDU 2003-VI).»
La Corte ritiene utile richiamare anche i seguenti passaggi estratti dalla sentenza (Zhou c. Italia, n. 33773/11, §§ 55-56, 21 gennaio 2014):
«§ 55 La Corte rammenta che, in alcuni casi altrettanto delicati e complessi, il margine di apprezzamento lasciato alle autorità nazionali competenti varia a seconda della natura delle questioni oggetto della controversia e della gravità degli interessi in gioco. Se le autorità godono di un’ampia libertà nel valutare la necessità di prendere in carico un minore, in particolare in caso di urgenza, la Corte deve comunque aver acquisito la convinzione che, nella causa in questione, esistano circostanze tali da giustificare il fatto di allontanare il minore dalla madre. Spetta allo Stato convenuto accertare che le autorità, prima dare esecuzione a tale misura, abbiano valutato accuratamente l’incidenza che avrebbe sui genitori e sul minore la misura di adozione, e abbiano preso in esame soluzioni diverse dalla presa in carico del minore (K. e T. c. Finlandia [GC], sopra citata, § 166; Kutzner c. Germania, sopra citata, § 67, CEDU 2002-I).
§ 56 A differenza di altre cause che la Corte ha avuto occasione di esaminare, il figlio della ricorrente, nel caso di specie, non era stato esposto a una situazione di violenza o di maltrattamento fisico o psichico (si veda, a contrario, Dewinne c. Belgio (dec.), n. 56024/00, 10 marzo 2005; Zakharova c. Francia (dec.), n. 57306/00, 13 dicembre 2005), né ad abusi sessuali (si veda, a contrario, Covezzi e Morselli c. Italia, n. 52763/99, § 104, 9 maggio 2003). La Corte rammenta che ha concluso per l’esistenza di una violazione nella causa Kutzner c. Germania, (§ 68, sopra citata) nella quale i tribunali avevano revocato la potestà genitoriale ai ricorrenti dopo avere constatato in questi ultimi un deficit affettivo, e ha dichiarato la non violazione dell’articolo 8 nella causa Aune c. Norvegia, (n. 52502/07, 28 ottobre 2010), in cui la Corte aveva rilevato che l’adozione del minore non aveva di fatto impedito alla ricorrente di continuare ad intrattenere una relazione personale con il minore e non aveva avuto la conseguenza di allontanarlo dalle sue radici. Essa ha anche constatato la violazione dell’articolo 8 in una causa (Saviny c. Ucraina, n. 39948/06, 18 dicembre 2008) in cui l’affidamento dei figli dei ricorrenti era stato motivato dalla loro incapacità di garantire condizioni di vita adeguate (la mancanza di risorse economiche e di qualità personali degli interessati mettevano in pericolo la vita, la salute e l’educazione morale dei figli). Del resto, in una causa in cui l’affidamento dei minori era stato disposto in ragione di uno squilibrio psichico dei genitori, la Corte ha concluso per la non violazione dell’articolo 8 tenendo conto anche del fatto che il legame tra i genitori e i figli non era stato interrotto (Couillard Maugery c. Francia, sopra citata).»81. La Corte riconosce che la situazione che si presentava ai giudici nazionali nel caso di specie era delicata. In effetti, sui ricorrenti pesavano gravi sospetti. Nel momento in cui ha deciso di allontanare il minore dai ricorrenti, il tribunale per i minorenni ha tenuto conto del danno certo che lo stesso avrebbe subito ma, visto il breve periodo che aveva passato con loro e la sua giovane età, ha ritenuto che il minore avrebbe superato questo momento difficile della sua vita. Tuttavia la Corte ritiene che le condizioni che possono giustificare il ricorso alle misure controverse non erano soddisfatte per i motivi seguenti.
82. Anzitutto, il solo fatto che il minore avrebbe sviluppato un legame affettivo più forte nei confronti dei suoi genitori intenzionali qualora fosse rimasto presso di loro, non basta per giustificare il suo allontanamento.
83. Inoltre, per quanto riguarda il procedimento penale avviato nei confronti dei ricorrenti, la Corte osserva anzitutto che la corte d’appello di Campobasso aveva ritenuto che non fosse necessario attenderne l’esito in quanto la responsabilità penale degli interessati non svolgeva alcun ruolo (paragrafo 25 supra), cosicché nemmeno i sospetti che gravavano sugli interessati sono sufficienti per giustificare le misure controverse. Secondo la Corte non è comunque possibile prevedere quale sarebbe l’esito del procedimento penale. Inoltre, solo in caso di condanna per il reato previsto dall’articolo 72 della legge sull’adozione i ricorrenti sarebbero divenuti legalmente incapaci di adottare o accogliere il minore in affidamento.
84. A quest’ultimo riguardo, la Corte osserva che i ricorrenti, giudicati idonei ad adottare nel dicembre 2006 nel momento in cui ricevettero l’autorizzazione (paragrafo 12 supra), sono stati giudicati incapaci di educare ed amare il figlio solamente in quanto avevano aggirato la legge sull’adozione senza che fosse stata disposta una perizia da parte dei tribunali.
85. Infine, la Corte osserva che il minore ha ricevuto una nuova identità soltanto nell’aprile 2013, il che significa che è stato inesistente per più di due anni. Ora, è necessario che un minore non sia svantaggiato per il fatto che è stato messo al mondo da una madre surrogata, a cominciare dalla cittadinanza o dall’identità che rivestono un’importanza primordiale (si veda l’articolo 7 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia del 20 novembre 1989, entrata in vigore il 2 settembre 1990, 1577 Recueil des Traités 3).
86. Tenuto conto di questi fattori, la Corte non è convinta del carattere adeguato degli elementi sui quali le autorità si sono basate per concludere che il minore doveva essere preso in carico dai servizi sociali. Ne deriva che le autorità italiane non hanno mantenuto il giusto equilibrio che deve sussistere tra gli interessi in gioco.
87. In conclusione, la Corte ritiene che vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione.
88. Tenuto conto che il minore ha certamente sviluppato dei legami affettivi con la famiglia di accoglienza presso la quale è stato collocato all’inizio del 2013, la constatazione di violazione pronunciata nella causa dei ricorrenti non può dunque essere intesa nel senso di obbligare lo Stato a riconsegnare il minore agli interessati.
La parola, dunque, passerà alla Grande Camera.