Matteo De Longis

Sulla motivazione per relationem dell’avviso di accertamento e sul corrispondente onere di allegazione

Accade sovente che l’avviso di accertamento emesso nei confronti di un contribuente si fondi, in tutto o in parte, sugli accertamenti già effettuati nei confronti di un terzo soggetto; in tali casi, ai fini del corretto e pieno esercizio del diritto di difesa, è pertanto fondamentale avere precisa contezza degli atti compiuti a carico di quest’ultimo.

Le norme rilevanti in tal senso, ed essenziali per la definizione del perimetro applicativo dell’onere motivazionale gravante in capo all’Agenzia delle Entrate, così recitano:

art. 7 comma 1, Legge 27 luglio 2000, n. 212 e s.m.i.

[…] Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama;

art. 42 comma 2, D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 e s.m.i.

[…] L’accertamento è nullo se l’avviso non reca la sottoscrizione, le indicazioni, la motivazione di cui al presente articolo e ad esso non è allegata la documentazione di cui all’ultimo periodo del secondo comma.

Il combinato disposto delle richiamate norme, evidentemente, non distingue se l’atto richiamato sia stato formato nei confronti del destinatario dell’avviso di accertamento o nei confronti di un terzo e, per tutti i casi in cui la motivazione dell’atto impositivo richiami un altro atto, prescrive che quest’ultimo sia, alternativamente, o allegato o riprodotto nel suo contenuto essenziale.

Come affermato da pacifica giurisprudenza, l’obbligo di motivazione dell’atto impositivo persegue il fine di porre il contribuente in condizione di conoscere la pretesa impositiva in misura tale da consentirgli sia di valutare l’opportunità di esperire l’impugnazione giudiziale, sia, in caso positivo, di contestare efficacemente l’an e il quantum debeatur.

Detti elementi conoscitivi devono essere forniti all’interessato, non solo tempestivamente – e cioè inserendoli ab origine nel provvedimento impositivo -, ma anche con quel grado di determinatezza ed intelligibilità che permetta al medesimo un esercizio non difficoltoso del diritto di difesa – cfr. Cass. Sez. Trib., sentenza n. 21564 del 18 luglio 2013 e giurisprudenza conforme ivi citata.

Ciò posto, deve anzitutto disattendersi il minoritario orientamento che, qualificando l’atto impositivo quale provocatio ad opponendum, considerava irrilevante tale allegazione sul presupposto che parte ricorrente avrebbe comunque svolto adeguate difese nel processo tributario.

Come correttamente affermato da Cass. Sez. Trib. Sentenza n. 21564 del 18 luglio 2013,

“questa è una visione riduttiva del ruolo della motivazione, che pur leggendolo in funzione dell’esercizio del diritto di difesa, finisce per legittimare un possibile, ma inammissibile, giudizio ex post della sufficienza della motivazione argomentata dalla difesa comunque svolta in concreto dal contribuente piuttosto che un giudizio ex ante argomentata sulla rispondenza degli elementi enunciati nella motivazione a consentire ex se l’esercizio effettivo del diritto di difesa.”

In altre parole, va escluso che le argomentazioni comunque svolte dal contribuente sul punto abbiano in qualche modo sanato il vizio motivazionale dell’atto impositivo che, per ipotesi, si sia limitato a riprodurre il contenuto – asseritamente ritenuto essenziale – del provvedimento.

A proposito di tale tecnica di rinvio motivazionale, peraltro, è stato autorevolmente affermato che per contenuto essenziale si deve intendere

”l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento che risultino necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, e la cui indicazione consente al contribuente – e al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento” –

cfr. tra le tante, Cass. Sez. Trib. Sentenza n. 20551 del 27 giugno 2013.

Dunque, questa tecnica, in realtà, non è una motivazione per relationem “pura”, non limitandosi al richiamo dell’atto esterno.

Autorevole dottrina, non a caso, ha parlato di tecnica mista di “richiamo/trascrizione”, essendo necessario, oltreché la trasposizione dei passaggi ritenuti essenziali, anche l’analitica indicazione dell’atto da cui proviene il testo trascritto e la specificazione del punto esatto da cui questo è stato tratto – ad esempio pag. 5 del P.V.C. n. ___ del gg/mm/aaaa.

 Mutatis mutandis, in termini sostanzialmente analoghi si era già espressa anche Cass. Sez. Trib. Sentenza n. 11722 del 14 maggio 2010, che, in tema di cartelle esattoriali promananti da Consorzi, previa equiparazione delle stesse ad atto impositivo di pretesa tributaria, ha formulato il seguente principio di diritto:

la “motivazione può essere assolta per relationem ad altro atto che costituisca il presupposto dell’imposizione, atto del quale, tuttavia, debbono comunque essere specificamente indicati gli estremi, anche relativi alla pubblicazione dello stesso su bollettini o albi ufficiali che eventualmente ne sia stata fatta a sensi di legge, affinchè il contribuente ne abbia conoscenza o conoscibilità: l’atto di rinvio, quando si tratta di atti dei quali il contribuente abbia già integrale e legale conoscenza per effetto di precedente notificazione o pubblicazione, non deve essere necessariamente allegato alla cartella – secondo una interpretazione non puramente formalistica della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, comma 1, (cosiddetto Statuto del contribuente) -, sempre che ne siano indicati nella cartella stessa i relativi estremi di notificazione o di pubblicazione”.

Ancora, con specifico riferimento alla nozione di conoscenza effettiva e di conoscibilità dell’atto richiamato, è ormai principio indiscusso che, sebbene tale presupposto possa dirsi in re ipsa quando il riferimento attiene a verbali d’ispezione o verifica compiuti alla presenza del contribuente, o a lui notificati o comunicati nei modi di legge,

quando i verbali oggetto di relatio riguardano un soggetto diverso, l’Amministrazione deve dimostrare – sia pure, eventualmente, tramite presunzioni – l’effettiva e tempestiva conoscenza dei documenti da parte del contribuente, non essendo sufficiente il riferimento ad un atto del quale il contribuente stesso possa semplicemente “procurarsi la conoscenza”, poichè ciò comporterebbe una più o meno accentuata e non giustificata riduzione del lasso di tempo a lui concesso per valutare la fondatezza dell’atto impositivo, con indebita menomazione del diritto di difesa”

così Cass. Sez. Trib. Sentenza n. 1418 del 23 gennaio 2008, pronunciata addirittura anteriormente alla vigenza della più rigorosa normativa di cui alla l. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7.

Orbene, dall’articolato sostrato giurisprudenziale formatosi in seno alla S.C. e sinora citato, possono trarsi le seguenti conclusioni.

Anzitutto, la motivazione dell’atto impositivo assolve all’essenziale funzione di tutela del diritto di difesa del contribuente.

Tale funzione non è eludibile sul presupposto che questi si sia, in qualche modo, comunque difeso.

L’allegazione degli atti richiamati per relationem nella parte motiva dell’avviso di accertamento non è necessaria laddove l’Amministrazione fornisca prova dell’effettiva conoscenza degli stessi da parte del contribuente.

Nel caso in cui l’Amministrazione non sia in grado di fornire detta prova, ovvero che gli atti di cui trattasi fossero rivolti a terzi e dunque, come tali, fossero non conoscibili dal contribuente, l’allegazione degli stessi diventa requisito fondamentale ed ineludibile – pena nullità – dell’atto impositivo.

A tal fine, potrebbe essere ritenuto lecito il ricorso alla tecnica della “riproduzione del contenuto essenziale dell’atto” a condizione che siano comunque forniti tutti gli elementi per valutare l’an e il quantum debeatur.

Ove si ricorra a tale peculiare tecnica, però, diventa fondamentale indicare specificatamente gli estremi ed il punto esatto dell’atto da cui tale contenuto essenziale è stato estratto.

Tale onere, difatti, risponde alla fondamentale esigenza di mettere il contribuente – ed il Giudice eventualmente investito del sindacato giurisdizionale sulla vicenda – in condizione di ottenere l’effettiva conoscenza dell’intero atto richiamato, e non soltanto dei passaggi ritenuti essenziali dalla controparte.

Sarebbe, viceversa, irragionevole consentire ad una parte in causa di selezionare le parti rilevanti di un atto non conosciuto – e nemmeno conoscibile – dalla controparte, impedendo poi a quest’ultimo di prendere contezza dell’intero contenuto dello stesso.

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