Corte di Giustizia UE: le operazioni di cambio valuta effettuate in bitcoin sono prestazioni di servizi IVA esenti
Con sentenza del 22.10.2015, resa nella causa C-264/14, Hedqvist, la CGUE ha stabilito che il cambio di valuta tradizionale contro unità della valuta virtuale «bitcoin» e viceversa, effettuate a fronte del pagamento di una somma corrispondente al margine costituito dalla differenza tra, da una parte, il prezzo al quale l’operatore interessato acquista le valute e, dall’altra, il prezzo al quale le vende ai suoi clienti, costituiscono operazioni esenti dall’imposta sul valore aggiunto.
La direttiva IVA – 2006/112/CE – prevede che sono assoggettate a tale imposta le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso nel territorio di uno Stato membro da parte di un soggetto passivo all’IVA che agisce in quanto tale. Tuttavia, gli Stati membri devono esonerare, in particolare, le operazioni relative «a divise, banconote e monete con valore liberatorio».
Il sig. David Hedqvist, cittadino svedese, intende fornire servizi consistenti nel cambio di valute tradizionali nella valuta virtuale «bitcoin» e viceversa. Il «bitcoin» è una valuta virtuale utilizzata per pagamenti tra privati via internet nonché in taluni negozi online che l’accettano; gli utenti possono acquistare e vendere tale valuta in base a tassi di cambio.
Prima di iniziare ad avviare tali operazioni, il sig. Hedqvist ha richiesto un parere preliminare alla commissione tributaria svedese per sapere se doveva essere versata l’IVA all’acquisto e alla vendita di unità di «bitcoin». Secondo tale commissione, il «bitcoin» è un mezzo di pagamento utilizzato in maniera corrispondente a mezzi legali di pagamento e le operazioni che il sig. Hedqvist intende effettuare dovrebbero essere quindi esenti da IVA.
Lo Skatteverket, amministrazione finanziaria svedese, ha proposto ricorso contro la decisione della commissione tributaria dinanzi allo Högsta förvaltningsdomstolen (Corte suprema amministrativa, Svezia), sostenendo che le operazioni che il sig. Hedqvist intende effettuare non ricadono nelle esenzioni previste dalla direttiva IVA.
In tale contesto, la Corte Svedese sollevato questione pregiudiziale dinanzi la Corte di Giustizia chiedendo:
1) Se l’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva IVA debba essere interpretato nel senso che le operazioni indicate come cambio di valuta virtuale contro valuta tradizionale e viceversa, effettuato dietro un corrispettivo che il fornitore della prestazione integra all’atto della determinazione dei tassi di cambio, costituiscono prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso.
2) In caso di risposta affermativa alla prima questione, se l’articolo 135, paragrafo 1, [di detta direttiva] debba essere interpretato nel senso che le operazioni di cambio sopra descritte sono esenti da imposizione».
Preliminarmente, la Corte ha escluso che le operazioni in parola ricadessero nella nozione di “cessioni di beni” di cui all’art. 14 della Direttiva IVA, in considerazione del fatto che la valuta “bitcoin” non può essere qualificata come “bene materiale” ai sensi della norma prefata.
In secondo luogo, con riferimento al carattere oneroso della prestazione di servizi, la Corte ha ricordato che una prestazione di servizi è effettuata «a titolo oneroso», ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera c), della direttiva IVA, e non è pertanto assoggettata a IVA, solo se sussiste un nesso diretto fra il servizio prestato e il corrispettivo ricevuto dall’amministrato.
Tale nesso diretto – secondo costante giurisprudenza, tra cui cfr. Le Rayon d’Or, C‑151/13, punto 29 e giurisprudenza ivi richiamata – risulta acclarato qualora tra il prestatore e il destinatario intercorra un rapporto giuridico nell’ambito del quale avvenga uno scambio di reciproche prestazioni e il compenso ricevuto dal prestatore costituisca il controvalore effettivo del servizio prestato al beneficiario.
Così inquadrato il rapporto in esame, la Corte ha osservato – §§ 28 -30 – che:
Nel procedimento principale, dal fascicolo sottoposto alla Corte risulta che sussisterebbe tra la società del sig. Hedqvist e le altre parti contraenti con detta società un rapporto giuridico sinallagmatico nell’ambito del quale le parti dell’operazione si impegneranno reciprocamente a cedere importi in una certa valuta e a riceverne il controvalore in una valuta virtuale a flusso bidirezionale o viceversa. Risulta parimenti che tale società sarà retribuita per la sua prestazione di servizi da una controprestazione corrispondente al margine che essa integrerà nel calcolo dei tassi di cambio ai quali sarà disposta a vendere e acquistare le valute in parola. […]
La Corte ha già avuto modo di dichiarare che risulta inconferente, ai fini della determinazione del carattere oneroso di una prestazione di servizi, il fatto che detta retribuzione non assuma la forma del versamento di una provvigione o del pagamento di spese specifiche (sentenza First National Bank of Chicago, C‑172/96, EU:C:1998:354, punto 33).
Occorre considerare, alla luce delle suesposte considerazioni, che operazioni come quelle oggetto del procedimento principale costituiscono prestazioni di servizi effettuate a fronte di una controprestazione che presenta un nesso diretto con il servizio prestato, vale a dire prestazioni di servizi a titolo oneroso ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera c), della direttiva IVA.
Rebus sic stantibus, il Giudice del Lussemburgo ha risposto alla prima questione dichiarando che l’articolo 2, paragrafo 1, lettera c), della direttiva IVA va interpretato nel senso che costituiscano prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso, ai sensi di tale disposizione, operazioni, come quelle oggetto del procedimento principale, che consistono nel cambio di valuta tradizionale contro unità della valuta virtuale «bitcoin» e viceversa, effettuate a fronte del pagamento di una somma corrispondente al margine costituito dalla differenza tra, da una parte, il prezzo al quale l’operatore interessato acquista le valute e, dall’altra, il prezzo al quale le vende ai suoi clienti.
Con riguardo alla seconda questione pregiudiziale posta, la Corte ha ricordato, in limine, che le esenzioni di cui all’art. 135 § 1 della Direttiva IVA costituiscono nozioni autonome del diritto UE e che le stesse devono essere applicate restrittivamente costituendo deroga al principio generale secondo cui l’IVA debba essere riscossa per ogni prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso da un soggetto passivo – cfr. Skandinaviska Enskilda Banken, C‑540/09, punto 19 e DTZ Zadelhoff, C‑259/11, punto 20.
Ciò premesso, la Corte ha anzitutto escluso che le operazioni di cambio valuta in bitcoin potessero ricadere nell’ambito di applicazione dell’esenzione di cui all’art. 135 §1 lett. d) della Direttiva IVA, a mente della quale gli Stati membri esentano le operazioni relative a “depositi di fondi, (…) conti correnti, (…) pagamenti, (…) giroconti, (…) crediti, (…) assegni e (…) altri effetti commerciali”.
Ad analoga conclusione la Corte è giunta in relazione all’art. 135 §1 lett. f) della Direttiva, non ritenendo le operazioni in parola assimilabili a transazioni riguardanti “azioni, quote parti di società o associazioni, obbligazioni e altri titoli”.
A diversa conclusione, tuttavia, si è giunti in relazione all’art. 135 § 1 lett. e) della Direttiva, ove si prevede l’esenzione per le operazioni relative a “divise, banconote e monete con valore liberatorio”:
45 Al riguardo, occorre ricordare che le nozioni adoperate in tale disposizione devono essere interpretate ed applicate in modo uniforme alla luce delle versioni vigenti in tutte le lingue dell’Unione (v., in tal senso, sentenze Velvet & Steel Immobilien, C‑455/05, EU:C:2007:232, punto 16 nonché la giurisprudenza ivi richiamata, e Commissione/Spagna, C‑189/11, EU:C:2013:587, punto 56).
46 Come esposto dall’avvocato generale ai paragrafi da 31 a 34 delle conclusioni, le diverse versioni linguistiche dell’articolo 135, paragrafo 1, lettera e), della direttiva IVA non consentono di determinare senza ambiguità se tale disposizione si applichi alle sole operazioni vertenti sulle valute tradizionali o se essa riguardi invece anche le operazioni relative ad altre valute.
47 In presenza di differenze linguistiche, la portata del termine in questione non può essere stabilita in base a un’interpretazione esclusivamente testuale. Occorre quindi interpretare tale espressione in funzione del contesto in cui essa si inserisce, della finalità e del sistema della direttiva IVA (v. sentenze Velvet & Steel Immobilien, C‑455/05, EU:C:2007:232, punto 20 nonché giurisprudenza ivi richiamata, e Commissione/Spagna, C‑189/11, EU:C:2013:587, punto 56).
48 Come ricordato supra, ai precedenti punti 36 e 37, le esenzioni previste dall’articolo 135, paragrafo 1, lettera e), della direttiva IVA sono intese, segnatamente, a ovviare alle difficoltà collegate alla determinazione della base imponibile nonché dell’importo dell’IVA detraibile che sorgono nel contesto dell’imposizione delle operazioni finanziarie.
49 Orbene, le operazioni relative a valute non tradizionali, vale a dire diverse dalle monete con valore liberatorio in uno o più paesi, costituiscono operazioni finanziarie in quanto tali valute siano state accettate dalle parti di una transazione quale mezzo di pagamento alternativo ai mezzi di pagamento legali e non abbiano altre finalità oltre a quella di un mezzo di pagamento.
50 Inoltre, come il sig. Hedqvist ha sostanzialmente fatto valere all’udienza, nel caso particolare di operazioni quali le operazioni di cambio, le difficoltà collegate alla determinazione della base imponibile nonché dell’importo dell’IVA detraibile possono essere identiche, indipendentemente dal fatto che si tratti di cambio di valute tradizionali, normalmente esentate in forza dell’articolo 135, paragrafo 1, lettera e), della direttiva IVA, o di cambio, da una parte, di tali valute contro, d’altra parte, valute virtuali a flusso bidirezionale che, senza essere mezzi di pagamento legali, costituiscono un mezzo di pagamento accettato dalle parti di una transazione, e viceversa.
51 Risulta pertanto dal contesto e dalla ratio di detto articolo 135, paragrafo 1, lettera e), che un’interpretazione di tale disposizione secondo la quale essa disciplina le operazioni relative alle sole valute tradizionali si risolverebbe nel privarla di parte dei suoi effetti.
52 Nel procedimento principale, è pacifico che la valuta virtuale «bitcoin» non abbia altre finalità oltre a quella di un mezzo di pagamento e che essa sia accettata a tal fine da alcuni operatori.
53 Conseguentemente, si deve concludere che l’articolo 135, paragrafo 1, lettera e), della direttiva IVA disciplina anche le prestazioni di servizi come quelle oggetto del procedimento principale, che consistono nel cambio di valuta tradizionale contro unità della valuta virtuale «bitcoin» e viceversa, effettuate a fronte del pagamento di una somma corrispondente al margine costituito dalla differenza tra, da una parte, il prezzo al quale l’operatore interessato acquista le valute e, dall’altra, il prezzo al quale le vende ai suoi clienti.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Giustizia UE ha risposto alla seconda questione dichiarando che le prestazioni di servizi, come quelle oggetto del procedimento principale, che consistono nel cambio di valuta tradizionale contro unità della valuta virtuale «bitcoin» e viceversa, effettuate a fronte del pagamento di una somma corrispondente al margine costituito dalla differenza tra, da una parte, il prezzo al quale l’operatore interessato acquista le valute e, dall’altra, il prezzo al quale le vende ai suoi clienti, costituiscono operazioni esenti dall’IVA ai sensi di tale disposizione.
Causa C-264/14 – Conclusioni Avvocato Generale Kokott
CGUE – Sentenza del 22.10.2015 – nella Causa C-264-14 – Hedqvist